Dicembre 3, 2024

Vittime dell’acido

Cosa pensi di The Final Cut, il primo album dei Floyd senza di te?

Non mi è piaciuto, però sapevo che potevo essere abbastanza prevenuto nel giudicarlo, tenendo conto della mia situazione. Comunque credo che se tu domandassi a Dave o a Nick un parere, anche loro ti risponderebbero che non lo ritengono un buon album. Il fatto sostanziale è che, mentre facevano The Final Cut, loro tre hanno avuto duri scontri, culminati con l’abbandono della band da parte di Roger. Era erroneamente convinto di essere lui la band, e proprio per questo il suo ego è andato in frantumi, quando Dave ha finito per decidere di andare avanti senza di lui.

Qualche tempo fa hai detto di sentirti frustrato da alcuni aspetti di The Division Bell, di quali precisamente?

Penso che avremmo dovuto fare di più per renderlo un album floydiano, per come siamo abituati a concepirlo: più legato a un tema portante, con tutta la musica unita da un legame logico. E’ una cosa che credo piaccia a molti dei fan della band, ed è il risultato che intendevo ottenere con il mio disco (Broken China ndr). Sono contento di molti altri aspetti del disco, per esempio del fatto che ho avuto la possibilità di contribuire alla scrittura dei brani. La mia influenza si può sentire in tracce come Marooned e Cluster One. Erano il genere di cose che mi davano i Floyd in passato, ed era un bene che si stesse tornando a farlo di nuovo.

Sembra che tu sia, ovviamente, affezionato a quello che si potrebbe chiamare il sound “classico” dei Pink Floyd, giusto?

Bè, molte persone hanno detto che non si può ascoltare solo un paio di canzoni di Broken China, bisogna ascoltarlo tutto. E penso che questo valesse anche per i Pink Floyd. E’ quello che mi è sempre piaciuto degli album, e credo che sia quello che a molta gente piaceva dei Floyd. Mi piace suonare quel genere di musica, e quello è anche il genere di musica che mi piace creare. In senso stretto io non sono un compositore: non mi piace l’idea di mettermi a scrivere una dozzina di canzoni da infilare in un album.

Sei d’accordo che si possono tracciare dei paralleli tra Broken China e le colonne sonore dei film?

Sì. Quando i Floyd hanno scritto le musiche per film come Zabriskie Point e More, erano ancora soltanto raccolte di canzoni e di brani strumentali. E’ molto difficile entrare nel giro delle colonne sonore per i film, ma sto spargendo la voce che mi piacerebbe farne. La musica e le immagini insieme mi affascinano, e ancor più mi colpisce l’influenza determinante che la musica può avere su un film. Mi piacerebbe poter comporre per un film importante.

Non ti senti un po’ perplesso per l’aura mistica che ancora avvolge in Pink Floyd e Syd Barrett in particolare?

Un po’ la capisco… Ascoltando The Piper At The Gates Of Dawn, si sente che contiene alcune canzoni straordinarie: erano quelle che aveva fatto Syd. Era una persona incredibile, ed erano canzoni di un genere che nessuna aveva mai affrontato prima: erano infantili, ma erano meravigliose. Ovviamente nel corso degli anni siamo cresciuti e siamo completamente cambiati. Ma riesco a capire perché la gente continui a voler sapere di Syd e della musica che facevamo all’epoca.

Che impressione ti fa che una generazione dopo l’altra si continuino ad ascoltare quei dischi?

Non so se sia una cosa buona oppure una cosa cattiva. Per certi versi è eccezionale. E’ interessante che la musica creata negli anni Sessanta e Settanta continui a essere tanto ascoltata oggi. Durante l’ultimo tour, è stato incredibile trovarsi a suonare della musica per persone che non erano neanche nate, quando l’abbiamo scritta, e che pure la conoscevano alla perfezione.

Cosa pensi di quei primi dischi dei Pink Floyd?

Quando penso ad alcune delle mie canzoni, mi faccio piccolo piccolo, tipo Remember a Day. Eravamo degli assoluti dilettanti, all’epoca, però non credo che soltanto il mio materiale sembri poco adeguato, oggi. Cose tipo Corporal Clegg, che era una canzone di Roger, erano altrettanto scarse. Il nostro autore era Syd, ma poi è toccato a noi occuparci della scrittura delle canzoni, ed è stata una bella responsabilità da sobbarcarsi. Non siamo stati in grado di scrivere come Syd, non abbiamo mai avuto l’immaginazione per fare dei testi come quelli che faceva lui.

Che ricordi hai dei primi anni Settanta, cioè dell’inizio della storia della band, quando facevate dischi come Dark Side of the Moon e Wish You Were Here?

La fine degli anni Sessanta è stata un momento di pura sperimentazione nella storia della band, ma è stato un processo di apprendimento. Nei Settanta ci siamo consolidati e abbiamo capito quello che potevamo fare: quello che potevamo scrivere, quello che potevamo suonare. Quelli di Dark Side of the Moon e Wish You Were Here sono stati momenti molto gradevoli. Quando ci ripenso, però, so che erano anche periodi molto intensi, quindi non credo che abbiamo mai avuto molte possibilità di fermarci a pensare a quello che stavamo facendo. Durante tutti i primi anni Settanta, se non eravamo on the road eravamo in uno studio di registrazione. Il mio ricordo è tutto qui.

Cosa pensi di Animals, quasi vent’anni dopo? 

E’ stato un lavoro piuttosto difficile. Era il 1977 ed è stato allora che Roger ha cominciato a credere di essere lui l’unico autore della band. Per quanto riguarda l’album, in parte la colpa è mia, perché in quel periodo non avevo molto da offrire. Dave, che invece qualcosa da offrire ce l’aveva, è riuscito a metterci solo un paio di cose sue. Mi piace il mio modo di suonare nell’album, ma fare quel disco non è stato divertente. Se lo si paragona a, diciamo, Wish You Were Here, dove come band eravamo molto uniti – divergenze ce n’erano, ma il processo creativo era comunque bello. Animals è stato una faticaccia. Però io non avevo niente da dare, sotto l’aspetto creativo, quindi ero in una situazione difficile.

I Floyd sono sempre stati ficcati nel mucchio delle band progressive degli anni Settanta. Come vi rapportate a quel genere di band?

Ho sempre pensato che i Floyd fossero una cosa a sé, però ero consapevole delle band che erano in circolazione in quel periodo: band come i Genesis, gli Yes e i Led Zeppelin. Li ho ascoltati tutti, e alcuni di loro mi piacevano. Mi sono sempre piaciuti i Genesis con Peter Gabriel, ma ho perso l’interesse per loro quando lui se n’è andato».

Secondo te, il punk ha cambiato qualcosa? 

Il punk all’inizio mi è sembrato una buona cosa, perché mi ha riportato ai giorni dell’Ufo. Se non altro si era fatto avanti qualcosa che stava spingendo le cose al limite. Purtroppo quella musica non mi piace, però mi è piaciuto tutto il movimento e personaggi come Malcolm McLaren e Vivienne Westwood. Quando i Floyd sono stati criticati da qualche punk band mi sono sentito molto lusingato… (ride).. ma no, non mi ha dato nessun fastidio. Guarda i Sex Pistols di adesso: sono rientrati nei ranghi!

In gran parte il catalogo discografico storico dei Floyd viene percepito quasi come “intoccabile”, come se fosse sacro… Ti spiacerebbe mandare in frantumi qualche illusione, rivelando se c’è qualcosa che vorresti cambiare di quei dischi?

Credo che se ne debba parlare più in termini del missaggio. e delle sonorità che abbiamo realizzato, che in termini di canzoni. Credo che tutti noi avremmo voluto dei testi qualitativamente un po’ migliori, specie nelle prime canzoni, e che la qualità delle registrazioni di batteria e basso, per esempio, fosse un po’ più alta. Ma se si parla della sostanza delle canzoni, non mi interesserebbe tornare indietro per cambiare qualcosa. perché in quel momento le cose erano esattamente così. Quelli eravamo noi.

Gli altri Floyd hanno ascoltato Broken China? 

Dave ne ha di sicuro ascoltato almeno una parte… gli ho chiesto io di collaborarci, suonando. All’inizio aveva suonato in una traccia, ma poi abbiamo scelto di provare un approccio diverso al brano, e alla fine non abbiamo usato la sua parte di chitarra. Ha ascoltato l’album e ho ragione di credere che lo ritenga molto ben fatto.

Negli intervalli tra gli album ei tour vedi spesso gli altri della band?

Non ci frequentiamo granché Pink Floyd sono come un matrimonio, però in uno stato di separazione di fatto, e permanente (ride). Tra noi c’è del rispetto reciproco, ma non siamo amici intimi. All’inizio eravamo amici: vivevamo costantemente insieme, 24 ore al giorno. Ma allora eravamo giovani e non prendevamo molto sul serio i nostri rapporti. Oggi penso che tutto sia riconducibile al rispetto. Tra noi c’è rispetto, e questo ci basta.

Per voi tre. The Division Bell è stato un album facile da realizzare, in considerazione di com’erano i rapporti rispetto all’ultima volta che eri nella band?

Certo. Non so se dipenda dall’età. Magari le cose diventano più facili, quando si invecchia. Può essere. Però è anche vero che con l’età si tende a diventare più cocciuti e meno elastici: cerco sempre di essere consapevole della mia condizione, via via che passa il tempo…

In passato hai co-prodotto Barrett, il secondo album di Syd (1970). In futuro potresti dedicarti principalmente alla produzione?

Produrre se stessi è una cosa. farlo per qualcun altro è ben diverso. Anthony (Moore ndr) è in grado di farlo, e infatti se ne occupa. Io, invece, non ho la personalità giusta, né la voglia. Non mi vedo proprio a fare cose alla Brian Eno. Realizzare il disco di Syd è stato interessante, ma anche molto difficile, Dave e Roger avevano fatto il primo (The Madcap Laughs), e Dave e io abbiamo fatto il secondo. Ma in pratica era soprattutto un tentativo di aiutare Syd come potevano, invece di preoccuparci di ottenere il miglior suono di chitarra possibile. Quello potevamo anche scordarcelo! Tutto girava intorno al fatto di andare in studio e provare a convincerlo a cantare. Comunque, sono convinto che entrambi gli album di Syd siano stati interessanti e abbiano lasciato un segno.

Hai ancora qualche contatto con Syd Barrett?

Ho letto su una rivista che sta diventando cieco a causa del diabete. Che tristezza. Non ci troviamo mai con lui, perché sembra che se gli capita di ricordare qualcosa dei Pink Floyd e di quando ci stava dentro, sprofondi per intere settimane nella depressione. Qualche anno fa, sua madre ci ha chiesto di stargli alla larga. A quanto pare, la maggior parte del tempo è, o almeno, era piuttosto allegro e felice, ma la visione delle nostre facce può scatenargli una crisi. Sarebbe successo comunque, oppure è dipeso da una dose esagerata di acido? Chissà. Sospetto che siano un po’ entrambe le cose. Tutto quello che so è che una settimana stava bene, e quella dopo si presentò completamente cambiato. È una terribile tragedia.

Oggi che opinione hai degli allucinogeni? 

Syd è stato fortemente influenzato da parecchie delle persone che aveva intorno e che lo incoraggiavano a farsi dei trip. Là fuori ci sono molte vittime dell’acido. Non era solo. All’epoca c’erano persone come Timothy Leary che ne rivendicavano esplicitamente l’uso: il trip è nostro e ce lo facciamo ogni giorno. Sbagliato? Sì. Dissennato? Si. Per me era sbagliato. In vita mia mi sono fatto due trip. Il primo è stato ancor prima di entrare nella band, e me lo sono proprio goduto. Poi me ne sono fatto un altro e non mi è piaciuto per niente, quindi non l’ho mai più ripreso. Di sicuro ha rovinato Syd, e credo che abbia rovinato parecchie altre persone.

Però la musica di Floyd è stata spesso descritta come “ispirata dalle droghe”. Pensi che si tratti di una definizione sbagliata? 

Se intendi che i Pink Floyd assumevano stupefacenti, ti sbagli. Era del tutto impossibile, per me, fare musica e prendere qualsiasi genere di droga contemporaneamente.

Cosa farai in futuro?

«Mi sento molto sicuro di quello che ho fatto con Broken China. Ne sono orgoglioso. Mi piace tantissimo e adesso voglio eseguirlo dal vivo. Ci sono già un po’ di cose che vorrei cambiare, ma non tante quante credevo ce ne sarebbero state. Mi ha dato una bella spinta. L’anno prossimo farò un altro album, o magari una colonna sonora per un film. Se ci sarà da fare di nuovo qualcosa con i Floyd, si farà, e se non ci sarà, non si farà. E intanto, continuerò a scrivere nuovi brani».

Quindi al momento non avete in programma nuove registrazioni come Floyd?

«Verrà un giorno in cui chiederò a Dave “Quando facciamo un altro disco?”, e poi, un altro giorno, sarà lui a dirmi: “Entro in studio per scrivere nuove canzoni: dai, vieni”. Continuano a chiedermi quando i Pink Floyd faranno un nuovo disco, ma onestamente non lo so. La nostra tendenza finora è stata quella di registrare seguendo cicli di 6-7 anni, quindi, visto che l’ultimo album l’abbiamo concluso nel ’94, magari il prossimo potrebbe arrivare nel 2001! Non abbiamo una determinata immagine da tenere viva, il che ci rende più facili le cose, via via che invecchiamo. Quando ci esibiamo come Pink Floyd, ci basta chiedere ai tecnici delle luci di nasconderci completamente nell’ombra, così nessuno può vedere in che condizioni siamo ridotti!.

Mark Blake, 1996