Febbraio 5, 2025
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Il 19 giugno 1971, i Pink Floyd si esibirono in un concerto destinato a diventare leggenda: la tappa a Brescia, presso il Palazzetto E.I.B. A oltre 50 anni di distanza, Mirko Boroni, torna a raccontare quella serata straordinaria nel suo secondo libro, Planets Meeting. Dopo il successo del primo volume, Boroni approfondisce con nuove ricerche, aneddoti e testimonianze che gettano ulteriore luce su uno dei momenti più significativi della storia dei Pink Floyd in Italia.

Abbiamo avuto il piacere di intervistare Mirko Boroni per parlare di Planets Meeting, delle sue scoperte e del perché il concerto di Brescia è ormai uno dei più conosciuti dai fan.

Iniziamo facendo un passo indietro e torniamo al 2021. Cosa ti ha spinto a raccontare il concerto di Brescia del 1971?

Il desiderio di salvaguardarne il ricordo. Brescia (forse sembrerà strano) non s’è mai interessata più di tanto a quell’evento; qualcuno ricordava, diceva di esserci stato, di aver sentito qualcosa… c’era addirittura chi negava o semplicemente non credeva che si fossero esibiti al Palazzetto E.I.B. “ma come?? I Pink Floyd a Brescia? Ma smettila di raccontare cazzate! Non ci credo!!” e questa era la risposta più gettonata e di conseguenza il ricordo si stava affievolendo. Di questo passo sarebbe tutto scomparso nel giro di qualche anno. Da grande appassionato della band non mi capacitavo di come ci si potesse quasi dimenticare che uno dei più grandi gruppi della storia del rock fosse transitato nel nostro territorio in un periodo chiave della loro immensa carriera. Non era possibile, si doveva intervenire! Certo, qualche “reduce” esisteva ma il loro racconto orale non aveva presa, non bastava e così decisi di affrontare la questione come l’avrebbe affrontata uno che ci crede veramente (tanto per capirci direi che Roger potrebbe essere un buon esempio), mi rimboccai le maniche, costituimmo con un manipolo di appassionati un gruppo di ricerca, facemmo presentazioni, raccogliemmo testimonianze e informazioni a cui cercai di dare un ordine definitivo per la stesura finale.

 “Pink Floyd a Brescia, il concerto” è un libro curato e molto dettagliato. Quanto tempo ti è servito per completare la stesura?

L’idea si manifestò durante la primavera del 2018, l’estate (lavoro permettendo) la trascorsi in emeroteca a spulciare quotidiani dell’epoca e microfilm e in autunno realizzammo le presentazioni (giusto un paio) per divulgare l’idea. Il 2019 in gran parte l’ho passato registrando testimonianze, sbobinandole riportandole su carta, raccogliere scatti della serata, mettere a punto l’apparato iconografico e per la fine dell’anno avevo una prima bozza, una forma embrionale direi. Poi nel 2020 arrivò il Covid e tutto il sistema di “agganci” e recupero testimonianze che avevo costituito incontrandoli di persona si bloccò, cercai di rimediare con il telefono e con gran fatica arrivai ad un grado di rifinitura dell’impaginato piuttosto ordinato e soddisfacente. Nel 2021 venne il momento di mettere finalmente il punto e ad aprile andò in stampa.

A Febbraio del 1972, nelle famose serate alla Rainbow, Nick Mason intervistato da Armando Gallo dirà: “Ancora ricordiamo il composto pubblico di Brescia che ci ha permesso di suonare uno dei nostri migliori set. Ci avevano avvisato sulle cacofonie che possono generarsi nei concerti italiani, ma quella tournée ci ha lasciato solo buoni ricordi.” Leggendo queste parole viene da pensare che Nick ce lo aveva suggerito che il concerto di Brescia fu qualcosa di particolare.

A mio avviso il concerto di Brescia per il gruppo fu una prova, non dico fondamentale, ma piuttosto importante da affrontare. Qualcosa inerente alle grandi difficoltà logistiche, che altre band del periodo erano incappate esibendosi nel nostro paese, doveva essere giunto ad orecchio della band e il pensiero faceva tremare i polsi. A nessuno piace avventurarsi in un clima ostile dove si rischia il contatto verbale, fisico e talvolta ahimè distruttivo (vedi i Led Zeppelin al Vigorelli o Santana al Palalido), nessun manager è contento di mandare i propri ragazzi nella bolgia, ma il “premio” per i nostri beniamini era la possibilità di conquistare una nuova fetta di mercato. Messi da parte i dubbi e i timori vennero, suonarono divinamente, e il pubblico italiano (per fortuna) rispose composto ed entusiasta come raramente successe in quel periodo.

È affascinante che luoghi piccoli o sconosciuti a livello internazionale come Böblingen, Hakone, Royaumont, Ossiach e appunto Brescia siano diventati un nome familiare nella community floydiana grazie ad un concerto dei Pink Floyd. 

Diciamo che gli appassionati, i più caldi, non si accontentano: sarebbe sin troppo facile innamorarsi esclusivamente di grandi e famose location come il Madison Square Garden o l’Hollywood Bowl ma noi sappiamo che ci furono luoghi meravigliosi ed un po’ sconosciuti che attirano la nostra fantasia più di altri. Il trittico che hai nominato ad esempio (Hakone, Royaumont e Ossiach) ha i tratti dell’esotico, dell’idillio, del sogno: il primo si nutre del mito orientale tra nubi, laghi e montagne, il secondo fra pareti millenarie dove tutto è storia, il terzo è la location di un festival sulle rive d’un piccolo lago immerso nel verde della dorsale austriaca… perché non innamorarsene? Per il resto, Brescia compresa, si mantengono sotto traccia perché non hanno avuto visibilità, poca storia e pochissimo conosciuta, registrazioni amatoriali di bassa qualità e tutto questo alimenta il desiderio: quella sana voglia ahimè insoddisfabile di saperne di più.

E adesso arriva Planets Meeting. E’ il secondo capitolo di questa affascinante ricerca?

Direi che chiude il cerchio. Se c’è un aspetto di questo nuovo lavoro, una caratteristica fondamentale che mi fa impazzire, è la sua incapacità di raccontare l’evento dal punto di vista narrativo. Essenzialmente è nato come ricordo fotografico, un omaggio a quella superba giornata di rock e fratellanza; chi non ha letto il primo difficilmente leggendo Planets Meeting troverà il grimaldello per capire le difficoltà del periodo che portarono i Floyd a Brescia e questo mi piace tantissimo! L’ispirazione, anche se sembrerà strano, mi arrivò da The Endless River e dalla nostra bellissima Luna: entità non in grado di affrancarsi/allontanarsi dal proprio pianeta madre. Come The Endless River non riesce a prendere distanza da The Division Bell la nostra Luna mai si allontanerà dalla terra e Planets Meeting non può staccarsi dal suo predecessore.

Ci sono fotografie che spiccano per la loro importanza o bellezza? Ce n’è una che racconta meglio di tutte la magia di quel concerto?

Le amo tutte, anche quelle definibili di scarsa qualità o “superflue”, belle o brutte che siano, restituiscono un istante in più di quella giornata, attimi di vita irripetibile immortalati in uno scatto. La fortuna poi di aver recuperato il lavoro di un fotografo professionista inviato del Giornale di Brescia ha dato al libro il vanto, a mio avviso, di elevarsi a documento storico di grande importanza.

Il titolo, che ovviamente si riferisce a Return Of The Son Of Nothing, ha anche un doppio senso proprio per la storia del concerto di Brescia.

Assolutamente! Quel giorno, in città prima e al Palazzetto poi, si riunirono migliaia di persone provenienti da tutto il nord Italia e da oltre confine. Brescia sonnacchiosa, dura e laboriosa, accettando l’esibizione, accettò l’idea di aprirsi al mondo: il ragazzo della provincia strinse amicizia con quello del centro, quello del centro con quello proveniente da altre città e via così sino ad amalgamarsi (ideali politici pericolosi compresi) per creare un corpo unico in attesa della “rivelazione”, un perfetto Planets Meeting consapevoli del fatto che ogni singolo abitante di questa nostra terra è un pianeta a sé stante.

Qual è stata la parte più emozionante o gratificante del processo di scrittura e pubblicazione di questi libri?

Non essendo uno scrittore posso dirti che non è stato facile portare a compimento quest’avventura, talvolta si è trattato di un processo faticoso, al di sopra della mia portata, ma in qualche modo credo di essermela cavata. La passione per la materia storica (e non solo quella della band) mi ha supportato trovando nella ricerca un piacere quasi maniacale, in grado di soddisfare ampiamente la parte emozionale di questo viaggio. Altro aspetto meraviglioso è la consapevolezza di aver lavorato per costituire una memoria storica, di aver contribuito a consolidare e preservare il ricordo di quella serata. Brescia, forse anche per merito di questi due libri, ha finalmente compreso l’importanza dell’evento concedendomi (nel 2021) l’onore di mettere una targa in ricordo al PalaLeonessa ex E.I.B., e ad oggi sorrido quando chiacchierando di rock mi dicono non conoscendomi: “sai che i Pink Floyd hanno suonato all’E.I.B.?” E poi viene l’aspetto puramente umano: ovvero quello di aver stretto amicizia con persone che mi considerano quasi come un “salvatore della patria”. Ovviamente mi riferisco a quelli che furono presenti al concerto: mi hanno aperto le porte di casa presentandomi le proprie famiglie, gli amici, narrandomi avventure meravigliose che posso non solo immaginare ma quasi rivivere grazie ai loro racconti.

L’ultima domanda, banale e scontata, ma doverosa. Ci sarà anche una terza parte?

Veramente difficile rispondere. Sicuramente se capitasse l’occasione giusta si poterebbe anche tentare l’impresa ma serve l’idea, una grande idea!

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