
Magicamente su YouTube è apparsa la registrazione audio del Q&A con Nick Mason e Steven Wilson all’anteprima di ieri sera del film Pink Floyd At Pompeii. Abbiamo cercato di tradurre in maniera veloce le parti essenziali e quelle più importanti. Ci perdonerete se c’è qualche errore, ma questo è il massimo che siamo riusciti a fare.
Giornalista:
Nick, partiamo con una domanda fondamentale: perché odi così tanto il bordo della crostata? (risate dal pubblico)
Nick Mason:
Beh… non riesco nemmeno a ricordare la risposta giusta a questa domanda! (pausa) Forse dovrei avvertire tutti che… tempo fa, una delle mie figlie mi ha convinto a fare un quiz online sui Pink Floyd… e ho totalizzato il 56%. Spero di rispondere alle domande senza dovermi affidare troppo ai miei ricordi!
Giornalista:
Parlando di Pink Floyd at Pompeii: la tua band è tornata lì, e anche la band di David ci ha suonato. Perché ci avete messo così tanto a ripubblicare il film e l’album?
Nick Mason:
È… in qualche modo è scomparso dal radar. La tendenza è sempre guardare avanti. La cosa interessante è che questo film copre tre album diversi, il che è straordinario. Di solito, ogni progetto ruota attorno a un singolo disco.
Giornalista:
Domanda per entrambi: quanto è importante questo materiale nel passaggio dall’era post-Syd Barrett a The Dark Side of the Moon?
Nick Mason:
Ehm… Non ne ho idea. È molto difficile da dire. A dire il vero, dovresti ascoltare i miei colleghi… (esita) Ho un’idea. Rispondi te [Steven].
Steven Wilson:
Penso sia molto importante perché simboleggia la transizione dei Pink Floyd da una band psichedelica e improvvisativa a una rock concettuale. Nel film si vedono sia i brani improvvisati dal vivo che le registrazioni strutturate di Dark Side. Documentare questa transizione è quasi unico nella storia del rock.
Giornalista:
Steven, riascoltando i nastri originali, cosa hai scoperto?
Steven Wilson:
Avevamo solo quattro tracce mono: batteria, basso, tastiere e chitarra. Non potevo bilanciare i singoli elementi, ma ho lavorato sugli overdub fatti a Parigi: effetti sonori, tastiere aggiuntive e ritocchi alle voci. Volevo un suono “arido”, come se fossimo davvero lì, all’aperto.
Nick Mason:
Steven ha fatto un lavoro eccezionale. Sembra un concerto vero, non un rimasterizzato.
Giornalista:
Suonare senza pubblico né effetti speciali… è un approccio tipicamente “Floydiano”?
Steven Wilson:
Assolutamente. I Pink Floyd non hanno mai cercato di compiacere il pubblico. Questo film è l’essenza: suonare per sé stessi, in un anfiteatro vuoto che diventa un palcoscenico metafisico.
Nick Mason:
Sì, è stato Adrian Maben a insistere. Noi eravamo… “indicibilmente disinteressati” all’inizio. (risate) Ma quell’arena senza pubblico ha creato un’atmosfera unica.
Giornalista:
(rivolto a Nick) Curiosità: in Echoes, dopo cinque minuti lanci i tamburelli. Sei la star involontaria!
Nick Mason:
(ridendo) Ho notato che la mia presa sul tamburo peggiora col tempo. Inizio bene, poi… torno alle cattive abitudini! (imita il gesto di agitare i bastoni, risate)
Giornalista:
Steven, se potessi rimasterizzare un altro album dei Pink Floyd, quale sceglieresti?
Steven Wilson:
Sceglierei A Saucerful of Secrets o Atom Heart Mother. Adoro la loro sperimentazione. Ummagumma mi introdusse alla musica d’avanguardia. Sarebbe un sogno lavorarci.
Nick Mason:
Io opterei per A Saucerful of Secrets. È un album che nasconde ancora segreti.
📸 di Dave Bannet
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