Ci ha concesso un intervista il fotografo Robert Dowling, autore degli scatti per gli album Meddle e A Momentary Lapse Of Reason, copertina che nel 1987 fu premiata dall’associazione dei fotografi professionisti britannici.
FC: Nel libro Mind Over Matter, nel capitolo dedicato a Meddle, Storm dice che ha scelto te per la foto “dell’orecchio” perché, oltre ad essere affidabile ed un vero professionista, eri disposto ad assumerti tutte le responsabilità soprattutto se si verificava un disastro. Quando hai conosciuto Storm?
RD: Conobbi Storm quando mio cognato, di professione graphic designer, ci presentò poco prima dello shooting di “Meddle”. Avevo scattato numerose copertine di album e avevo appena iniziato a farmi una reputazione come fotografo pubblicitario.
FC: Storm non è mai stato soddisfatto del risultato della copertina di Meddle, definendola ” un mediocre lavoro” e affermando che non è stata colpa tua, ma del fatto che furono delle sessioni a “distanza”. Fu complicato realizzare la copertina?
RD: Non fu complicato. Storm era direttore artistico, ma non so cosa intenda di preciso quando dice che ho lavorato “a distanza”; non ho letto il suo libro. Al giorno d’oggi sarebbe facile realizzare un risultato di gran lunga migliore creando ad esempio delle “onde sonore” emesse da un orecchio. Allora invece si trattava di proporre una doppia esposizione o di “sovrapporre” due luci. Concordo che sia stato un risultato mediocre: un concetto privo della solida creatività e immaginazione di Storm. Aubrey Powell, il partner di Storm in ‘Hipgnosis’, non pensava che fosse abbastanza buona e la ritiene, di tutti le cover fatte con i Floyd, la peggiore.
FC: Sei tornato a lavorare per i Pink Floyd nel 1987, per la cover di A Momentary Lapse Of Reason. Era un periodo particolare per la band dopo la partenza di Roger Waters. Anche Storm fu richiamato dopo alcuni anni. C’era della tensione durante quelle sessioni?
RD: Non ero consapevole di alcuna tensione durante lo shooting di “A Momentary Lapse of Reason”. Probabilmente saprai che il primo tentativo fu annullato a causa del maltempo. Lasciammo un paio di lettini sulla spiaggia durante la notte per vedere cosa sarebbe successo se avessimo calcolato male l’altezza della marea. Ebbene, sparirono completamente. Il secondo tentativo, due settimane dopo, andò bene. Iniziammo alle 5.30 di mattina, ma Storm non si fece vedere fino a tarda giornata, quando la maggior parte dei letti erano già in posizione. Era un po’ seccato dalla mia presunzione di andare avanti. Quella sera finimmo alle 21.30!
FC: Hai qualche aneddoto da raccontarmi su quelle sessioni?
RD: Non mi viene in mente. Era solo un altro lavoro. Il mantra di Storm quando si dedicava troppo tempo ai dettagli era “questa è arte, amico, non pubblicità del cazzo”. Stava sostenendo a modo suo che era tutta una questione di concetto, non tanto un’esecuzione perfetta. O per dirla senza mezzi termini: è tutto incentrato sul suo concetto non sull’interpretazione di un fotografo pubblicitario.
FC: È stata un’idea complessa da realizzare, ma ancora oggi rimane una delle cover più iconiche della storia del rock, oltre a quella dei Pink Floyd. Come ti senti ad aver contribuito a quest’opera d’arte?
RD: Ho impostato una gamma di fotocamere di formato diverso con vari tipi di pellicola e filtri per coprire ciò che immaginavo avesse in mente Storm e ciò che pensavo avrebbe creato atmosfera o dato un “look”. Non sono rimasto troppo sorpreso quando Storm ha ignorato la mia scelta e ha fatto la sua selezione di lucidi 4″x5″ abbastanza sicuri restituendomi il resto della pellicola. Dopo la morte di Storm, circa venticinque anni dopo, fui contattato dal manager dei Floyd che rivendicava il copyright di tutto ciò che era stato scattato per A Momentary Lapse of Reason. Non si era reso conto che avevo molte pellicole in mio possesso e non avevo mai firmato una rinuncia al copyright. Così sosteneva che avrebbero dovuto ricevere una percentuale su tutte le stampe vendute. È interessante notare che non mi è mai stato offerto alcun compenso per l’utilizzo per le successive ristampe o le consulenze sulla mostra Their Mortal Remains dove avrei potuto fornire ulteriore materiale di interesse. Ad essere sincero ho trovato sorprendente il continuo interesse. Vengo regolarmente contattato da persone provenienti da tutto il mondo e la domanda più frequente è: “quanti letti c’erano?” Avevamo puntato a procurarcene 1000 e avevamo questo numero in loco, ma non era necessario utilizzarne più di 700 circa e stavamo lottando contro la marea! “The Division Bell” è arrivato poco dopo, ma sfortunatamente ero in Nuova Zelanda da cinque settimane per un servizio quindi Tony May, il mio assistente che avevo lasciato a Londra, ha avuto la sua opportunità e da lì ha iniziato la sua carriera di grande successo come fotografo e direttore della fotografia.
FC: Nella tua carriera ti sei occupato un po’ di tutto tra cinema, musica e arte. Stai lavorando a qualche progetto in questo momento?
RD: Al momento ho appena iniziato la preparazione iniziale, con i miei partner, di un lungometraggio che sarà girato nel nord-est del Brasile nel 2025. Non posso dire molto di più al momento perché non abbiamo annunciato niente ufficialmente; dal cast a tutto il resto. Ci sono una serie di altri progetti sulla nostra lista, uno o due dei quali potrebbero prendere vita con un po’ di fortuna. Non bisogna mai mollare!
Intervista di Francesco Madonia. Traduzione a cura di Matteo Gherardi.
LA DOMANDA PIU’ FREQUENTE CHE MI FANNO E’: QUANTI LETTI C’ERANO? by Francesco Madonia is licensed under CC BY-NC-ND 4.0